La casalinga che inizia i suoi lavori di casa alle 6 del mattino e che, per renderli meno “noiosi”, accende la radio ad alto volume disturba la quiete pubblica, incorrendo nel reato penale di cui all’art. 659 c.p.
È questo il caso di una donna di Napoli, querelata dai suoi vicini e condannata dal Tribunale in quanto con i suoi «inurbani comportamenti impediva il riposo delle persone in una zona altamente popolata, impedendo così ai vicini di svolgere qualsiasi attività della vita quotidiana».
Nella vicenda la donna, oltre ad iniziare le faccende domestiche sin dalle sei del mattino, le accompagnava da condotte "inurbane", accendendo la radio ad alto volume e litigando con la figlia, in una zona altamente popolata, impedendo così il riposo e lo svolgimento delle normali occupazioni dei vicini.
Il caso è arrivato in Cassazione (sentenza n. 48315/2016), dopo il ricorso presentato contro la sentenza di primo grado. I giudici della Cassazione hanno respinto il ricorso della casalinga avallando completamente la decisione di merito sul concreto disturbo delle quiete e del riposo di un numero indeterminato di persone.
A nulla sono valse le doglianze della donna secondo la quale il giudice di merito si era limitato "a fare proprio" il racconto delle persone offese, ed eccependo che veridicità delle accusa doveva ritenersi dubbia visto che non vi erano rapporti di buon vicinato, sfociati anche in scambi di insulti e comportamenti finalizzati - a suo dire – a "farle cambiare casa". Né tantomeno rilevano, per la Suprema Corte, le deposizioni dei testi della difesa che avevano definito la casalinga come una "persona calma" e che "non dava fastidio a nessuno".
Nella sentenza, la Cassazione chiarisce anche la distinzione tra le due distinte ipotesi di reato previste dall’articolo 659 del Codice penale: nella prima ipotesi si fa riferimeno a «chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici»; la seconda invece riguarda «chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità».
Nel primo caso di Codice penale prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 309 euro; nel secondo caso l’ammenda va da 103 a 516 euro.
Nel caso della casalinga napoletana il reato contestato era quello di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone di cui al 1° comma dell’art. 659 c.p. Per i giudici della Cassazione i rumori provocati dai lavori domestici, dalla radio accesa e dalle urla sono idonei ad impedire a un numero indeterminato di persone (residenti in una zona altamente popolata di Napoli come nel caso di specie) di riposare e quindi di poter svolgere le normali occupazioni quotidiane, rilevando altresì che non si era trattato di episodi sporadici ma di «continui, reiterati e inurbani comportamenti». Dal Palazzaccio, infatti, rigettano anche la doglianza sulla mancata applicazione della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., lamentata dalla donna a fronte di una pena esigua di 100 euro di ammenda cui era stata condannata.
La Suprema Corte non ha dubbi neanche su questo: la norma, oltre alla particolare tenuità dell'offesa, richiede la non abitualità del comportamento, requisito che è chiaro mancare nel caso di specie, dati i "continui, reiterati e inurbani comportamenti" della donna.
Da qui la condanna definitiva, anche al pagamento delle spese processuali di 2.000 euro in favore della cassa delle ammende e dei danni cagionati ai vicini.