La disciplina dell’uso delle parti comuni ad opera dei singoli condomini si rinviene tradizionalmente negli artt. 1102 e 1120 c.c. rubricati rispettivamente “Uso della cosa comune” e “Innovazioni”: a tali norme la recente riforma sul Condominio approvata con legge n. 220 del 2012 ha aggiunto le previsioni di cui all’art. 1122 bis con riguardo all’installazione sulle parti comuni dell’edificio degli impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili e di cui all’art. 1122 ter con riguardo all’installazione sulle parti comuni dell’edificio di impianti di videosorveglianza.
L’ordito codicistico sulla disciplina dell’istituto giuridico del Condominio negli edifici è stato altresì arricchito con l’innesto di altre due norme a presidio della destinazione d’uso delle parti comuni: il nuovo art. 1117 ter c.c. che disciplina le modalità attraverso le quali, al fine del soddisfacimento di esigenze di interesse condominiale, la collettività condominiale possa modificare una destinazione d’uso in precedenza impressa alle parte comuni, e il nuovo art. 1117 quater c.c. che ha previsto nuovi meccanismi di reazione ad attività, da chiunque intraprese, che incidano negativamente e sostanzialmente sulle destinazioni d’uso delle parti comuni, raccordando le iniziative che eventualmente possono assumere i singoli condomini o l’amministratore ed, in ultima istanza, l’assemblea dei condomini al fine di far cessare condotte ritenute abusive.
La legge riconosce a ciascun condòmino un diritto pieno a trarre massima utilità dall'uso delle cose comuni purché nel rispetto della sua destinazione d'uso, senza che ciò sia oggetto di un'espressa manifestazione della volontà assembleare, ferma restando la possibilità per l'Assemblea condominiale o del regolamento contrattuale (laddove esistente) di sottoporre a limitazioni il potere di ogni condòmino sulla cosa comune.
L’art. 1102 c.c., norma allocata nella disciplina giuridica della Comunione ma da ritenere applicabile anche al regime giuridico del Condominio in base al richiamo di cui all’art. 1139 c.c., subordina l’uso dei beni comuni ad opera del singolo condomino a due fondamentali limitazioni: il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e l’obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. Il mancato rispetto dell’una o dell’altra delle due condizioni rende illecito l'uso della cosa comune. Anche l’alterazione, determinata tanto dal mutamento della funzione quanto dal suo scadimento in uno stato deteriore, ricade sotto il divieto stabilito dall’art. 1102 c.c. Deve invece ritenersi legittima l’utilizzazione della cosa comune da parte del singolo condomino con modalità particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, purché nel rispetto delle concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri condomini. E’ altresì legittimo l’uso più intenso della cosa purché non sia in ogni caso alterato il rapporto di equilibrio tra tutti i comproprietari, dovendosi a tal fine sempre avere riguardo all’uso potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. In sintesi, l'art. 1102 c.c. stabilisce il principio per cui ciascun partecipante ha il diritto di utilizzare il bene comune come può avendo però sempre a mente il duplice limite derivante dal rispetto della destinazione d’uso e dalla pari facoltà di godimento spettante agli altri condòmini.
Il divieto di alterare la destinazione del bene condominiale, posto dall’art. 1102 c.c., deve essere letto anche in relazione alla disciplina di cui al successivo art. 1120 c.c., laddove preclude al condomino qualsiasi intervento che determini alterazione dell’entità sostanziale del bene comune, mutandone la destinazione di fatto e di diritto, ovvero eccedendone il limite della conservazione o dell’ordinaria utilizzazione e del normale godimento: ciò si collega anche con la possibilità concessa al singolo condomino di apportare al bene comune, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento.
Le modificazioni della cosa comune o di sue parti eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo uso particolare diretto ad in migliore e più intenso godimento del bene stesso costituiscono una consentita esplicazione del diritto di comproprietà ex art. 1102 c.c. qualora non implichino alterazione della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti d’uso e di godimento degli altri condomini; diversamente, si risolvono in una innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c. che, in quanto tale, può essere disposta dall’Assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e i due terzi del valore dell’edificio. Restano comunque sempre vietate ex art. 1120, ultimo comma, c.c. le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterano il decoro architettonico o che rendono talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
La nuova formulazione dell’art. 1120 c.c. poi si è arricchita di due nuovi commi che hanno disciplinato alcune ipotesi di innovazioni sociali prevedendo un abbassamento del quorum deliberativo rispetto a quello ordinario ex art. 1136, quinto comma, c.c.: in particolare la legge ha previsto che per l’approvazione delle opere e degli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti, delle opere e degli interventi previsti per eliminare le barriere architettoniche, per contenere il consumo energetico degli edifici, per la realizzazione di parcheggi a servizio dei condomini, per la produzione di energia, nonché infine per l’approvazione delle opere di installazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a flussi informativi anche da satellite o via cavo, sia sufficiente il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti in assemblea che rappresentino almeno la metà del valore dell’edificio.
Installazione di impianti tecnologici ad opera dei condomini sulle parti comuni
Il nuovo articolo 1122 bis c.c. costituisce una speciale ipotesi applicativa dell’art. 1102 c.c. ed è stato introdotto dal legislatore con la legge n. 220 del 2012 di riforma del Condominio negli edifici al fine di facilitare l’uso del singolo condomino di parti comuni per la installazione di impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a flussi informativi, anche da satellite o via cavo, ovvero per la installazione di impianti fotovoltaici volti alla produzione di energia da fonti rinnovabili non inquinanti ed al contenimento dei consumi energetici. L’art. 1122 bis c.c. infatti consente l’installazione dei predetti impianti destinati al servizio di singole unità del condominio sul lastrico solare, su ogni altra idonea superficie comune e sulle parti di proprietà individuale di chi ne richiede la realizzazione a condizione che l’interessato, ove gli interventi da effettuare importino modificazioni delle parti comuni, ne dia comunicazione all’amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi; l’Assemblea, una volta intavolata la discussione tra i condomini, può prescrivere con l’elevata maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, c.c. (maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio), modalità alternative di esecuzione, può imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio, oppure può provvedere, a richiesta, a ripartire l’uso del lastrico solare o delle altre superfici comuni salvaguardando le diverse forme di utilizzo previste dal regolamento di condominio o le forme di utilizzo comunque in atto. In ogni caso l’assemblea dei condomini può, come la medesima predetta maggioranza, subordinare l’esecuzione dei lavori alla prestazione, da parte dell’interessato, di idonea garanzia per gli eventuali danni.
La norma in esame in sostanza prevede che, una volta assolto l’obbligo di informativa da parte del condomino interessato alla realizzazione degli interventi nei riguardi dell’amministratore, al quale va comunicato “il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi” ove questi ultimi importino modificazioni delle parti comuni, ed una volta instaurato il dibattito tra i condomini a seguito di apposita convocazione assembleare chiamata a deliberare sul punto, quest’ultima possa effettuare unicamente le attività di cui all’art. 1122 bis, terzo comma, c.c. ma non possa negare al condomino interessato un’autorizzazione che, di regola, non è neppure richiesta in tutti i casi in cui il singolo condomino abbia deciso di utilizzare uno dei beni comuni annoverati dall’art. 1117 c.c. nei limiti di cui all’art. 1102 del codice civile e della legge in generale.
In sostanza, l’applicazione della norma in esame, così come interpretata da una prima giurisprudenza di merito, sembra attribuire ampi spazi ai singoli condomini circa l’uso più intenso delle parti comuni sia pur per i precisi scopi indicati dallo stesso art. 1122 bis c.c. a discapito delle esigenze della intera collettività condominiale alla quale non vengono attribuiti poteri interdittivi rispetto agli interventi dei singoli condomini ma unicamente, al ricorrere di certe condizioni, poteri di mero controllo da esercitare con l’elevato quorum di cui all’art. 1136, quinto comma, c.c. Tale previsione normativa in definitiva attribuisce una certa discrezionalità ed opinabilità all’interprete sia con riguardo al contemperamento tra gli interessi del singolo che intenda realizzare uno degli impianti di cui all’art. 1122 bis c.c. e gli interessi dell’assemblea che tali interventi voglia regolare o modificare, sia con riguardo al raggiungimento del punto di equilibrio tra opposte esigenze, con il concreto rischio di un sensibile aumento del contenzioso giudiziario.